Cento giorni senza Reno

Cento giorni senza Reno. Più presente che mai nella lettera aperta alla città

Rileggere quanto Reno Montanucci aveva scritto ad agosto 2013 in occasione di una prima riapertura dell’Oratorio della Misericordia è di straordinaria attualità per più di una ragione.

Quello che segue appare quasi un “testamento spirituale” in cui, ancora una volta, Reno sprona la città a fare rete. Un impegno fatto proprio dall’Associazione “Cantiere Orvieto”, di cui lui stesso è stato ispiratore e promotore.

Un Bacio per i miei Concittadini con una supplica per i miei Colleghi.
Il gesto d’affetto che è naturale aspettarsi quando si rientra nella propria casa è il bacio.
Non la stretta di mano, non un saluto appena accennato o miagolato ma un bacio da chi in quella casa ti aspetta esprimendo la tacita conferma di un felice e amorevole rapporto.
Ora il problema non è tanto far passare indenne un bacio simbolico con uno di cioccolata che ha tutta l’aria di una promozione commerciale (il diavolo, si sa, ci mette sempre la coda) ma far capire ai miei cari concittadini che la Misericordia (e non solo) è casa loro. Per me e per i miei coetanei è molto più facile capirlo, perché, quando alla fine degli anni 50 ed inizio anni 60, grazie all’interessamento della Curia Vescovile venne messa a disposizione tutta l’area al piano terra, come luogo di intrattenimento per la gioventù orvietana con attrazioni e giochi di vario tipo ( tutto conforme alla povertà dell’epoca : ping pong, biliardini, dama, scacchi, libri e poco più) diventò il più naturale centro di ritrovo e la prima forma abbozzata di socializzazione che rendeva quel luogo un vero e proprio prolungamento della nostra casa che diventava però magicamente la casa comune di tutti noi che la frequentavamo.
Certo, non c’era l’abitudine di alzare gli occhi e guardare, non erano tempi quelli in cui era facile incontrare chi ti spiegasse il valore storico e artistico di certe decori, ricordo solo che la domenica alla messa in quello straordinario e misterioso ambiente, c’era un gran freddo e un comune senso di soggezione (l’ignoranza, è risaputo, non ti fa capire ma ti fa sentire, almeno qualche volta, piccolo piccolo).
Oggi grazie a Dio e alla sensibilità e alla disponibilità della Diocesi di Orvieto-Todi, della Confraternita della Misericordia, della Parrocchia di S.Andrea e dell’associazione Pietre Vive possiamo di nuovo rivedere tanta magnificenza.
A me come orvietano che ha già goduto di questo luogo, il compito di salutare con un bacio i miei concittadini che con la loro visita esprimono finalmente l’intenzione di riappropriarsi delle tante bellezze della nostra città e quindi della propria casa, sicuramente consci che una fruizione più assidua e documentata ci potrebbe arricchire di una maggiore consapevolezza.
Per i miei colleghi impegnati nel commercio e ospitalità turistica una supplica con il cuore in mano e molto umiltà:
Un modo semplice per banalizzare il tutto, potrebbe essere quello di sostenere che per potenziare l’offerta turistica basterebbe scoprire e valorizzare le bellezze nascoste o tutt’ora trascurate………. ma sarebbe una strategia di corto respiro.
Al contrario invece, l’unica cosa importante da dire è che l’apertura dell’oratorio della Misericordia non è il fine ma solo il mezzo attraverso il quale raggiungere il bersaglio centrale di tutta questa operazione, che consiste nel riconoscere in ogni orvietano che entra in queste sale ad esprimere curiosità, meraviglia e stupore un alleato che può aiutarci ad affrontare la madre di tutti i nostri problemi.
Si tratta di mettere le basi per un rapporto completamente nuovo con la nostra città con il suo passato con la sua storia e i suoi monumenti ma sopratutto con i nostri concittadini. Quando gli imprenditori capiranno di poter essere promotori di una nuova sensibilizzazione e consapevolezza cittadina aspettandosi con impazienza di poter vedere file di studenti delle nostre scuole in attesa di visitare i sotterranei di S.Andrea o qualunque altro monumento cittadino, quando riusciremo a sollecitare curiosità del perché Arnolfo di Cambio ha rappresentato il cardinale De Braye nel suo celebre monumento di S.Domenico con una deformazione nel collo che fa riferimento specifico alla causa della morte ma che hanno visto solo gli studiosi nelle varie fasi di un recente restauro, quando riusciremo a trovare numerosi concittadini meravigliati di fronte alla leggerezza di un Angelo annunziante o stupiti di fronte alle stupore di una Madonna annunziata entrambi di un certo sig. Mochi che abbiamo tenuto nascosti fino a pochi anni fa e che dovrebbero esseri goduti con la frequenza con cui si può andare a prendere una boccata di aria buona in Confaloniera, quando riusciremo a domandarci perché non è stato murato il S.Giovanni a S.Giovenale o perché dietro qualche scaffale dell’ultimo piano del Palazzo Comunale sono nascosti gli stemmi delle famiglie più potenti della città nel Trecento (forse per un trattato di pace che poteva significare una prospettiva di comune Prosperità?) o perché la Madonna di Coppo di Marcovaldo non ci saluta tutte le mattine dietro la vetrata allertata di qualunque banca invece di invecchiarsi solitaria in una stanza del solito museo troppo poco frequentato(soprattutto da orvietani) e perché tutte questa straordinarie ricchezze e tante altre ancora rischiano di rimanere lettera morta in un mondo di ciechi presunti o tali (forse per l’uso dilagante di occhiali da sole magari griffati?), allora forse potremmo essere vicini ad una vera e definitiva soluzione di una parte consistente dei nostri problemi
Se poi gli imprenditori riuscissero a ricordare di non essere solo orvietani ma di operare con le proprie attività in un luogo per i problemi del quale dovrebbero sentirsi un pò più orvietani degli altri, forse potremmo dire di essere vicino all’agognata meta che si potrebbe sintetizzare con poche e semplici parole:
Ad Orvieto è rimasto un solo modo per essere bravi imprenditori:
diventare buoni cittadini.

Un caro saluto Montanucci Nazzareno